foro_stenopeico29 giugno 2014_-59foro_stenopeico05 luglio 2014_-49foro_stenopeico05 luglio 2014_-194foro_stenopeico05 luglio 2014_-193 foro_stenopeico05 luglio 2014_-147


Circo

 

Mi stupisco sempre a vedere fotografi che fanno le facce strane sui set mentre lavorano. Essendo un fotografo ho tanti, ma tanti contatti di fotografi e ne vedo di tutti i colori, tutti i giorni. Spesso rimango incantato a guardare queste fotografie… c’è uno per esempio, sempre vestito di nero, con un cappuccio nero in testa (con qualunque clima, anche quando pare che ci sono 40 gradi, anche in studio…come farà? bha lo ignoro, però sicuramente soffrirà molto.), ha braccia incrociate sempre, tiene due bicipiti possenti adornati di tatuaggi, che mi guarda tra il cattivo e l’interrogativo, come per dire: “tu chi cazzo sei?”.  Io rispondo sempre: “nessuno, scusa”.

Un altro fa il gesto della pistola,  continuamente, in ogni occasione, si spara da solo con le dita e si fa sparare senza pietà! Forse in un’altra vita sarà stato un Cowboy, e gli sarà rimasto qualche ricordo? Chi lo sa.. E’ impossibile dirlo senza delle indagini approfondite che coinvolgono il subconscio.

Qualcuno si traveste, e suggerisce, nelle didascalie come si fa un vero  selfie, deve essere COOL, me lo segno, così quando mi ricapita sto attento e lo faccio bene. PROMESSO!

L’apoteosi si raggiunge con i video, la musica a palla, dove ci si diverte un mondo, una via di mezzo tra pare di stare in una fiera di estetica e il paese dei balocchi di Collodi.  Oppure quelli in cui un tipo su un fondale bianco (quelli da 2,80 di larghezza) e qualche luce, manifestano i potenti mezzi che le nostre grasse produzioni consentono.

Mi rendo conto che questa attività di promozione costituisce, per noi una parte importante della nostra esposizione mediatica, e che questo potrebbe portare a migliorare il nostro volume di affari, anche se questo è da verificare; mi chiedo, allora: ma non sembra anche a voi che  la linea di demarcazione tra noi e le foche da circo, rischia di assottigliarsi troppo?

 


Whoops, mi dispiace, forse questo contenuto è protetto da una password. Chiedimela, sarò contento di condividertela.



Fotografare in spiaggia, solo con la luce naturale, credo sia una delle esperienza più belle che un fotografo di moda possa fare. Poi magari la location che ci siamo scelti per farlo è quella incontaminata e selvaggia come il litorale del Circeo. Con Ria Antoniu (protagonista di ballando con le stelle) siamo entrati rapidamente in sintonia. Quando l’ora d’oro arriva tutto diventa facile, gli scatti si susseguono veloci…peccato che tutto sia finito così presto.

 

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E’ Lunedì in Albis, è il giorno dedicato alla Madonna dell’arco. Il giorno in cui un fiume bianco blu e azzurro viene inghiottito dal portone enorme e insaziabile del santuario.

Un’umanità impressionante, che divora tonnellate di salsicce e patatine, che produce tonnellate di rifiuti di plastica che abbandona con una naturalezza irragionevole  ai bordi del marciapiede.

Nell’ultimo chilometro la sporcizia, le brutte maniere, la puzza di olio rancido, l’odore di sudore che a tratti si sente, la calca, il contrasto troppo spesso evidente tra il pellegrino devoto e il comportamento incivile di molti di questi, mi porta troppo vicino  ad un’umanità che non amo, che giudico, che guardo con stupore, che scruto, nella ricerca inutile, di qualche carattere di grazia o di bellezza che mi permetterebbe di essere meno lapidario nel giudizio.

Poi davanti alla bocca del Santuario, il tempo cambia, viene scandito dall’alternarsi delle paranze, mezz’ora quelli che vengono da valle (da Napoli), e mezz’ora quelli che vengono da monte. Il santuario li ingurgita insaziabile, senza sosta, senza debolezze o cedimenti, o incertezza. Il fiume scorre dentro al suo ritmo eterno, scandito da cento anni sempre allo steso modo.

 

Appena dentro tutto cambia, la voce del cantore invoca il canto di devozione, bellissimo e struggente come solo i canti antichi sanno essere;  cantati senza amplificazione, con la faccia rivolta verso l’alto, con una mano vicino alla guancia, per fare arrivare la voce fino a me fino a dentro di me.

Il Fiume si sgrana, diventa fragile, quell’umanità che nell’ultimo chilometro mi ha così turbato ora mi sembra più umana, mentre in ginocchio o strisciando porta il suo dono alla sua Madonna, mi pare di sentirle le istanze e le preghiere che le rivolgono, non sono poi così diverse dalle mie. Non vi è alcuna distinzione tra uomini, donne, adulti o bambini, hanno tutti la faccia rivolta davanti a se, e una grandissima energia corre in tutta la chiesa, passa di persona in persona, attraversa tutti noi, credenti e non.  All’improvviso qualcuno  di loro cade in trance, le urla salgono e riempiono tutto, si impossessano di noi, le mani dei soccorritori schioccano, il cantore canta più forte, per aiutarci, per accomunarci, per non lasciare nessuno troppo solo.

Pochi minuti…  è tutto finito, una grande stanchezza li coglie, molti di loro sentono di essere stati toccati.

Madonna dell'arco


Il progetto Mi si sciolgono negli occhi”nasce dal mio tentativo di estendere ulteriormente l’aspetto soggettivo della fotografia. Mi sembrava che lavorare con giuste esposizioni, e con i tradizionali strumenti  mi costringeva a realizzare immagini che non tenessero abbastanza in conto, ne della mia fisicità ne del mio desiderio di liberarmi il più possibile del dettaglio, dell’incisione (cosa di cui la mia Mamya rz 67 abbondava), dell’oggettività della fotografia.

Mi si sciolgono negli occhi sono le immagini che affollandosi dentro i miei occhi deperiscono e si deteriorano. E’ il mio modo di manifestarmi stanco, sotto la mole enorme di immagini che mi prendono a bersaglio. E’ il mio modo di produrre una difesa, dall’interno, cercando di generare una visione il più possibile vicina alla mia pancia. Attraverso il foro le cose, i gesti, i movimenti diventano fluidi, perdendo i contorni decisi o esatti, lasciando il posto all’incertezza dei tratti, al lavoro necessario per ricostruirli o inventarne di nuovi, o magari, alla fine liberarsene.

Lavorare con il foro stenopeico significa avere sempre un diaframma di f. 155. Questo nella stragrande maggioranza dei casi costituisce un limite enorme. Così ho iniziato a coinvolgere nella realizzazione delle mie fotografie oltre al mio guardare anche il mio modo di stare. Mi capita spesso di esporre al ritmo del mio respiro in affanno, così sento di realizzare la mia immagine non solo con l’occhio, la mente la mano, ma intimamente anche con le mie esigenze vitali.

L’obbiettivo è quello di creare attraverso l’osservazione seriale di questi elementi un corpo organico di immagini adatto a raccontare la mia visione degli ambienti a me più prossimi, restituendomeli nuovi o esotici.