Alla ricerca di un'identità di gruppo attraverso la fotografia.

Costruire nuove dinamiche di gruppo e sperimentarle attraverso la fotografia. Intervenire sulla qualità delle relazioni del gruppo chiuso e produrre una narrazione frutto delle esperienze. Progetto realizzato con gli studenti dellìIstituto comprensivo Donizzetti di Pollena Trocchia.

L’obiettivo iniziale è stato quello di promuovere l’esplorazione di territori emozionali e di relazione interpersonale, al fine di aumentare la nostra competenza emotiva e la capacità di gestione delle reazioni aggressive, violente o autolesioniste. La fotografia è stata lo strumento di ispezione del nostro vissuto individuale prima e poi del ruolo di ognuno all’interno del gruppo chiuso. Un progetto inscritto tra gli strumenti di lotta alla dispersione scolastica che ha visto  i componenti del gruppo provenire da diverse classi, e di diverse età, ci ha permesso di confrontarci con dinamiche interne complesse. Il ricorso a manifestazioni aggressive è stato il primo livello di confronto che abbiamo sperimentato, una preziosa risorsa di energia che è stata rapidamente tradotta in energia creativa. Il lavoro iniziale mirava propria a questo dirottamento delle energie verso i focus del progetto.

Siamo partiti da questa semplice domanda: ma siamo veramente così un disastro?

A questa considerazione molti hanno reagito. Abbiamo iniziato a discutere di cosa pensavamo di noi e se ci fosse una distanza tra quello che sapevamo di noi e quello che gli altri pensassero. Abbiamo iniziato a dare nome e attenzione alle nostre sensazioni: Quelle più pressanti erano sensazioni di inadeguatezza, la vergogna, e su queste abbiamo lavorato per trasformarle. Come Adamo ci siamo nascosti come potevamo, solo con quello che avevamo.

NASCONDERSI

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Gli appuntamenti si susseguono, impariamo a sentirci, si stabiliscono gli equilibri, si saldano le relazioni. Superata la vergogna è giunto il momento di affrontare la fiducia. Quella verso se stesi e quella verso i compagni… quella che sorregge il lavoro del gruppo.

Entra nel cerchio, chiudi gli occhi!  è stata la prova dell’eroe che tutti abbiamo dovuto superare. Un momento intenso e faticoso! È stato il momento di evocare i nostri desideri, custodirli negli occhi chiusi, stretti in un cerchio di un metro fatto da tutti noi, ognuno con la sua presenza. Da quegli occhi chiusi nasce il motto di ognuno di noi… la certezza del nostro valore individuale.

GUARDARSI

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E’ stata una delle fasi più faticosa di tutto il lavoro. Abbiamo sperimentato, attraverso la fotografia, la forza della relazione. ; abbiamo usato la fotografia nel modo più crudo ed essenziale che potevamo. Mentre li guardavo che si fotografavano comprendevo lo sforzo che facevano a mantenere gli occhi chiusi, ad affidarsi al cerchio, gli stessi compagni faticavano per non tradire la fiducia, a mantenere il clima che si era creato. Siamo usciti da questa sessione lavoro provati, carichi di emozioni, più forti, più consapevoli di noi stessi.

CIO’ CHE NON CONOSCIAMO È SORPRENDENTE.

Il passaggio successivo, partendo da noi, da dentro, è stato l’avvicinarsi all’altro. Lo abbiamo fatto fin dal primo incontro, sforzandoci di contenere l’aggressività. Aprirsi allo sconosciuto, fino al punto di affidarsi completamente.

AFFIDARSI

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Le coppie che si sono formate rappresentano la sintesi dei rapporti tra di noi. Come per il capitolo precedente, in cui il soggetto sceglieva il fotografo, così per questo capitolo. Nell’ultimo invece, lasciamo esplodere la nostra energia. Abbiamo usato questa energia, per diventare leggeri, per volare, e fare le forme con il corpo… 

LIBERARSI

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Non so se sia necessario dirlo, ma io non ho scattato nessuna di queste fotografie, ne sono mai intervenuto sulle scelte di soggetti e fotografi, questo è il risultato degli adattamenti alle condizioni che abbiamo provocato, e alle quali abbiamo risposto secondo le nostre sensazioni momentanee. L’ultima fase del lavoro è stato come il momento della raccolta del grano: tutti intorno al tavolo a guardare e scegliere le fotografe che avrebbero composto la mostra.

La fotografia ci ha permesso di guardarci da fuori, ci siamo misurati a freddo con noi stessi. A volte ci siamo riconosciuti, altri ci siamo accolti o respinti. Non è stato facile, ma si percepiva quella dimensione di ricchezza emotiva e intellettuale che avevamo generato. Un impegno che ci ha messo alla prova, con il quale ci siamo confrontati e dal quale personalmente ho imparato molto.