Storie di Donne dell'Ospedale Evangelico Betania

12 donne 1 vita per l'ospedale

Il progetto mirava a dire grazie al personale infermieristico, a quella parte dell’equipe terapeutica che sostiene il processo di terapeutico. Una spina dorsale capace di sostenere sia le esigenze strettamente cliniche che le relazioni positive in grado di coadiuvare il processo di cura del paziente. 

L’Ospedale è tradizionalmente riconosciuto come un luogo accogliente, con un alto livello di umanizzazione della medicina, eredità costruita negli anni grazie alla stretta relazione dell’ospedale con il sistema tedesco adottato per la formazione delle infermiere (al tempo solo donne).  Un ospedale da sempre rivolto al mondo femminile.

Una lunga e emozionante campagna di storytelling interno ci ha permesso di individuare le 12 infermiere con la loro storia. Abbiamo lasciato che fosse il loro vissuto a raccontare l’ospedale e il suo spirito.

BIANCA ESPOSITO

Sono arrivata a Villa Betania nel 1989, sono stata tra le prima di un cambio generazionale operato dall’ospedale. Avevo voglia di lavorare, di mettere in pratica quello che avevo imparato. Al tempo gli elettrocardiogrammi li faceva un medico, ma era una pratica che competeva agli infermieri ed io ero preparata a questo compito, cocciuta come sono ho iniziato a farli, da 30 anni nel nostro reparto è un nostro compito. Quando lavoro insieme a giovani infermiere mi rivedo ragazza, penso sempre che da loro potrò imparare molto, si instaura uno scambio reciproco di conoscenze diverse.

TINA NASTI

Sono crescita all’ombra di questo ospedale, da bambina giocavo nel cantiere, quando era ancora in costruzione, qualche a nno dopo, nel 1984 ci sono entrata come infermiera. Siamo cresciuti insieme. La prima terapia che somministro ai miei pazienti è fatta di relazione, ciò che mi permette di insta ura re quel dialogo che sarà prezioso per tutto il tempo della sua degenza. Quando questo funziona, mi basta un’occhiata peravere il primo screening delle sue condizioni di un mio paziente.

Mi piace lavorare di notte, quando il paziente sente più pesante il tempo che deve scorrere, come diceva Eduardo: “adda’ passà ‘a nuttat”.

CARMELA BUFALINO

Quindici anni fa ho compreso che l’organizzazione documentale sarebbe potuta diventare uno strumento importante per migliorare la qualità del servizio. Quando sono diventata coordinatrice del reparto ho introdotto la cartella infermieristica, al tempo non era ancora obbligatoria, ma noi la usiamo già dal 2002. Mi piace pensare di aver costruito, con un piccolo pezzo alla costruzione di questo ospedale.

SILVANA VELOTTI

La terapia intensiva è un ambiente diverso dagli altri reparti, dove il tempo, le emozioni, i rumori e l’esterno sono percepiti in maniera differente:

è ovattato, sospeso… Sono una persona solare, positiva, credo nella gentilezza, nell’affetto da dimostrare al prossimo. Ad un familiare cerco sempre di trasferire questo: anche se tu non potrai dimostrare affetto al tuo caro, sappi che io sono qui anche per questo, sono fatta di umanità e professionalità, e do ad entrambi gli aspetti lo stesso peso.

ELVIRA BAIANO

Quando i pazienti tornano dagli interventi mi dico sempre:” Adesso tocca a noi”.

In Ortopedia la guarigione di un paziente è un gioco di squadra, al centro c’è il paziente. Instaurare un corretto rapporto di fiducia e collaborazione è il primo obiettivo che mi prefiggo, su quello baso tutta la mia attività professionale.

LUCIA NAPPO

Per noi di Ponticelli Villa Betania è il nostro ospedale, per chi lo ha visto nascere rappresenta un vanto, il segno di un riscatto sociale. Sono cresciuta in fattoria e l’evento della nascita mi ha accompagnata fin’ da bambina. Credo che l’aspetto fondamentale del mio lavoro sia il permettere alle donne di esprimere, nel momento del parto, la loro identità, la loro cultura, il loro modo profondo di essere.

GIOVANNA LUCIGNANO

II 2 giugno del 1997 ho iniziato il mio primo turno di lavoro al Pronto Soccorso, il primo intervento è stata una ferita alla testa che ho suturato tremando tra emozione e paura. Da quel giorno è iniziata per me un’esperienza di vita profonda. Ho imparato a conoscere questo quartiere, i suoi abitanti, il loro modo di vivere… arrivano con le loro urgenze, le loro sofferenze, a volte sono solo angosce che hanno bisogno di scaricare. Vanno via che mi hanno lasciato un piccolo tassello di un mosaico complesso qual’è quello di Napoli EST.

CARMELA RAIA

Mi piace viaggiare, vedere posti nuovi, credo che la vista sia uno dei doni più preziosi di Dio; forse per questo mi sento così legata al reparto di oculistica. I pazienti più anziani sono quelli ai quali cerco di dedicare più attenzione, sono i più vulnerabili.

ANNARITA CERCHIO

Il lavoro di sala operatoria è diverso da quello svolto in corsia o in ambulatorio. Per me il prendermi cura del paziente passa attraverso il campo dove dispongo la strumentazione, nei continui check fatti per garantire la perfetta efficienza del flusso di lavoro, nella cura maniacale nell’esecuzione di suture e medicazioni. I pazienti non sanno di me, sono un invisibile, come si dice: un portatore d’acqua

ROSARIA SETARO

L’area critica è il settore nel quale mi sento più a mio agio, più di 10 anni di pronto soccorso non si dimenticano, si rimane legati per sempre a quel sistema mentale; lì ho imparato quasi tutto quello che so, sopratutto ho imparato a “sentire” i miei pazienti. Oggi, che il mio ruolo principale è  preparare il paziente ad affrontare gli interventi il più rilassati possibile, in modo da permettere al medico di lavorare nelle condizioni migliori. Così se con le mie parole, la mia empatia, riesco a mettere il paziente nella giusta condizione, senza dover ricorrere all’uso di sedativi, ho fatto un buon lavoro.

ELENA RAUCCI

Sono arrivata in quest’ospedale che era piccolo, si respirava un’ambiente familiare, quasi domestico, era il 1978. L’ho visto trasformarsi e diventare grande, seguendo il sogno dei fondatori. Nel 1999 sono stata nominata Responsabile dei Servizi Infermieristici, le esigenze dell’ospedale erano cresciute, così come le difficoltà gestionali. Quando ho iniziato ricordo che non avevo neanche una stanza mia, ho imparato un lavoro nuovo, adattandomi alle nuove esigenze. Spero di lasciare al mio successore un sistema coerente e funzionale alle necessità dell’ospedale.

IMMA COMO

Per un genitore entrare nel mio reparto è come se fosse spedito sulla Luna. Le paure e l’incertezza totale spesso lo sovrastano. E’ mio compito introdurli in questa nuova condizione, guidarli verso la ricostruzione del rapporto con il loro figlio. Fatto ciò mi metto in ascolto, per sentire i loro desideri nei confronti del loro bambino e provare ad assecondarli.