Milano. È maggio, ma incerto. Un bel profumo di presente che guarda verso un futuro concreto e visionario. Il padiglione è denso, brulica… mi emoziona dare un’occhiata da vicino a un altro passaggio epocale. Se ci penso, la mia generazione ha una fortuna sfacciata: siamo passati dal gettone telefonico della SIP a… Bella storia, quella che si sente nei padiglioni di AI Week! Un coro denso e multiforme di possibilità, ipotesi e riflessioni su ciò che sta, o potrebbe avvenire.
Mi sono appuntato qualche speech e qualche evento da seguire, ma come al solito lascio che l’istinto (e un po’ il caso) facciano il loro lavoro. Più intuizione che strategia… Iniziamo bene, direi. Volevo toccare quanti più temi possibile, come in un processo di impollinazione. Guardare la trasformazione che stiamo vivendo da punti di vista diversi. Abbiamo bisogno di approfondire per capire concretamente cos’è questa intelligenza artificiale: tutti la nominano, spesso a sproposito, senza una vera idea chiara.
L’intelligenza artificiale è onnipresente nelle conversazioni quotidiane e viene vista come la soluzione miracolosa, assoluta ed economica per ogni problema… Ma è davvero così? Prima sento il bisogno di interrogarmi su: cos’è concretamente l’IA? Quali sono le vere implicazioni sul nostro quotidiano? Uno dei quesiti con cui sono arrivato è: come posso coniugare la mia idea di umanesimo con il bisogno di governare il flusso di innovazione che stiamo vivendo? E come riversare queste opportunità sui progetti professionali che seguo?
Sono arrivato con molte domande aperte: a che punto siamo con l’innovazione? Qual è il vero cambio di paradigma in arrivo? L’AI ci potenzia o ci svuota… ci sostituirà?
Ecco, non volevo tornare con risposte — credo che non sia il momento delle risposte, ma quello di individuare le piste da seguire. Gli stati mentali da riorganizzare per essere attori consapevoli e non spettatori. E adesso, su un treno in ritardo profondo…dove sei AI?, di ritorno a casa, mi rendo conto che sono tornato con più di quanto immaginassi.
Il cuore dell’esperienza: momenti e spunti significativi
Quando si parla di intelligenza artificiale, generalmete si pensa a ChatGPT o, più in generale, ai modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM). È l’immagine più visibile, quella che ci accompagna nelle chat, nei contenuti generati automaticamente, nella narrazione mediatica. Eppure, sotto il cappello dell’AI c’è un mosaico variegato di temi, approcci e applicazioni che meritano attenzione.
In questi due giorni ho esplorato un paesaggio in espansione, denso di possibilità concrete. Ho partecipato a speech e workshop su temi disparati: dal regolatorio (con discussioni sull’AI Act, la responsabilità algoritmica e le implicazioni etiche — bellissimo l’intervento di Ivana Bartoletti), a quelli più tecnici legati alla raccolta, qualificazione e gestione dei dati. Temi solo apparentemente tecnici, ma fondamentali: senza dati ben strutturati e consapevolmente gestiti, nessun algoritmo può davvero funzionare.
Molto interessante il workshop “Dati piccoli, impatti grandi – AI anche dove i big data non ci sono”, con Andrea Bergonzi e Luca Mauri di Dataskills. Una riflessione preziosa, sull’opportunità di raccogliere e leggere i dati in modo trasversale e contestuale, valutandone qualità e capacità integrative. Sopratutto pensando alle nostre PMI.
Ovviamente gli LLM sono grandi protagonisti. Ma non più solo strumenti generativi di linguaggio, ma piattaforme capaci di apprendere contesti, dialogare con altre AI e adattarsi a scenari dinamici. Da qui un fronte affascinante: la gestione degli agenti autonomi — sistemi capaci di analizzare contesti, organizzare risposte strategiche, prendere e proporre decisioni, collaborare e adattarsi agli obiettivi. È aperta la strada verso architetture complesse di agenti capaci a gestire contesti di grande complessità.
Su questo tema, molto interessante il caso raccontato da Alessandro Curia sull’adozione dell’AI da parte di Banca Mediolanum nella gestione delle conversazioni sui prodotti finanziari. Visto che i contratti del settore sono volutamente ambigui e densi di zone grigie, la sfida del machine learning è stata particolarmente complessa. Eppure, l’agent progettato da Livehelp riesce a individuare i temi potenzialmente rischiosi e a scalare la conversazione verso un consulente umano, al quale è demandato il compito di gestire le ambiguità. Non è fantastico?
Un cambio di paradigma che spinge l’intelligenza artificiale verso forme sempre più operative, capaci a prendere decisioni in armonia con gli obiettivi prefissati. Si intravede un potenziale sconfinato, nel quale dobbiamo solo formulare le giuste domande per affrontare le problematiche con efficacia. In questi casi niente è più utile dei casi d’uso: applicazioni reali, già integrate in aziende, ospedali, catene logistiche, agenzie creative… ce n’erano per ogni settore. Ogni caso è un tassello, una prova concreta che l’AI non è un futuro possibile: è presente e molto spesso invisibile.
Ho sempre pensato che l’AI fosse un passaggio cruciale della nostra storia collettiva e professionale. Oggi ne sono convinto più che mai: è un territorio da abitare consapevolmente, cogliendone le opportunità, affrontandone i rischi e le domande.
Cosa mi porto a casa: complessità, mindset e cultura
Siamo figli della post-modernità. Non possiamo che adottare la complessità come chiave di lettura principale dei processi umani di quest’ultimo secolo. Anche qui, a mio avviso, l’approccio giusto è quello della complessità: tecnologie che evolvono a ritmi vertiginosi, scenari dinamici e nuove potenzialità generate dalla connessione tra dati, persone, scelte e linguaggi potenziati.
Ci muoviamo in contesti stratificati, dove le informazioni non sono più lineari, ma multidirezionali. Un singolo dato in un’anagrafica, grazie alla potenza di calcolo e interpretazione attuale, può diventare la base per analisi tematiche profonde e strategie complesse, impensabili solo dieci anni fa.
Anche per chi, come me, lavora nel content marketing, questa complessità è un terreno da affrontare consapevolmente. Per farlo, serve prima di tutto un nuovo mindset. Non basta aggiornare gli strumenti, non serve acquistare un modello super-perfomante. Se non cambiamo i nostri schemi mentali, quegli strumenti restano inefficaci. Serve riprogrammare il pensiero, smontare le abitudini produttive lineari e imparare a progettare contenuti e strategie con uno sguardo sistemico. Ripensare gli ambienti su cui allochiamo i nostri contenuti anche in funzione della loro elasticità e tenendo presente la velocità e la fluidità degli utenti ai quali ci rivolgiamo. La velocità dell’AI può aiutarci, ma senza un pensiero critico e strutturato, rischiamo di accelerare verso il nulla.
Ed è qui che entra in gioco il fattore più importante: la cultura. Non intesa come somma di conoscenze, ma come insieme di valori, visioni del mondo, identità. La cultura orienta le scelte, stabilisce i criteri con cui organizzare e gestire i dati che alimentano le AI. È ciò che ci fa decidere cosa analizzare, cosa comunicare e con quali strumenti. In un mondo dove tutto può essere generato, avere una cultura viva è l’unico modo per garantire coerenza, autenticità e impatto.
In sintesi, non si tratta solo di “stare al passo” con l’AI. Si tratta di preservare e rafforzare i valori con cui costruiamo le narrazioni dei brand, dei prodotti e delle persone. Si tratta di dare alle AI la nostra forma, quella delle intenzioni delle nostre aziende, della nostra visione del mondo. Perché solo così potremo usare l’intelligenza artificiale in modo intelligente.
L’AI Week per me è stata un acceleratore di consapevolezza. Mi ha ricordato che non possiamo limitarci a osservare l’innovazione: dobbiamo entrarci dentro, sporcarci le mani e commetteremo errori. Ma dovremo entrarci in relazione. L’intelligenza artificiale non è (solo) una tecnologia: è un contesto culturale, un terreno di confronto tra ciò che siamo e ciò che possiamo diventare (mi piace pensare il meglio di ciò che potremo essere). Il futuro non aspetta, ma possiamo decidere come abitarlo. E farlo con lucidità, visione e responsabilità è forse il vero atto rivoluzionario.
4 thoughts on “AI WEEK: umanesimo e algoritmi difronte al bivio dell’innovazione”
Sempre molto interessante ed INTENSO il tuo punto di vista. Concordo in pieno sulla questione “cultura”.
Molto interessante!
Grazie Michele, riflessioni che mi trovano assolutamente d’accordo. Se l’AI viene “guidata ed educata” può diventare un assistente di aiuto nel gestire il tempo e rendere all’uomo spazi di vita. È sempre dall’uomo che comunque arriva l’intelligenza vera e l’esperienza, sarà dunque l’uomo a doverla sapientemente utilizzare.
Caro Michele, e stato un vero piacere incontrarti,,dopo qualche Anno, a Milano in questa occasione , della fiera Ai Week, e sinceramente, condivido in pieno il tuo pensiero…
Bravo , ti Auguro il Meglio, un abbraccio forte, a presto , Gino S .