Scegliere una visione delle cose.

Scegliere il fotografo giusto è una delle scelte più complesse e affascinanti che gli sposi si trovano ad affrontare. E’ complesso perché la ricerca ci porta a chiederci come vorremmo che fosse il racconto di quel giorno; è affascinante perché durante la loro ricerca si entra in contatto con il mondo di ogni fotografo incontrato. Ognuno di noi ha il suo stile e il suo approccio personale ella bellezza. Ho sempre pensato che ogni matrimonio ha il suo fotografo, così  suggerisco di guardare i lavori di molti fotografi, cercando di individuare lo stile più vicino alla propria idea di fotografia.

Raccontarci per conoscersi.

Non esitate a raccontare la vostra idea, per noi fotografi è fondamentale sapere un po’ di voi per raccontarvi al meglio. Una volta scelto il genere che più si avvicina ai vostri gusti, entra in gioco un aspetto fondamentale tra fotografo e soggetti: l’empatia, cioè la capacità di comprendersi reciprocamente. Più sarà alto il nostro livello di empatia, più naturali saremo. Io non parlo mai solo dei soggetti poiché credo che una fotografia sia fatta da un mix delicato, fatto da me che fotografo e dal soggetto che mi affida la sua immagine. Una volta raggiunti queste due certezze è il caso di parlare di prodotti e di costi. Se ogni matrimonio ha il suo fotografo, credo che ogni matrimonio ha il suo allestimento, l’album, le carte, i materiali, i colori, sono un mondo di scelte che naturalmente saranno fatte per rendere il vostro album unico, legato esclusivamente a voi, cerco sempre di evitare i prodotti preconfezionati, affidandomi ad artigiani capaci di essere nuovi per ogni lavoro. Così chiedete senza remore,  abbattete tutti dubbi che ancora avete, senza tralasciarne nessuno, a me capita che più mi si chiede più chiaramente comprendo i desideri altrui.

Una scelta consapevole-un professionista appassionato.

Alla fine, quando farete la vostra scelta, la farete convinti al 100% di aver trovato quello giusto per le vostre aspettative.  Mi è capitato una volta, una sola per fortuna, di ascoltare una sposa che mi diceva di volere un lavoro con delle caratteristiche che credevo di avere, ma a mano a mano che parlavamo mi rendevo conto che nonostante quello che dicesse, aveva dei desideri differenti, con uno stile che non mi apparteneva, e che io non avrei potuto interpretare in maniera adeguata, così piuttosto che provare ad accontentarla, facendo un lavoro che si sarebbe avvicinato al suo stile, ma che l’avrebbe lasciata parzialmente insoddisfatta, ho dovuto, mio malgrado, spiegarle che forse non ero io il fotografo giusto per il suo matrimonio.

Il mio lavoro guarda il presente ma pensa al futuro.

Ho sempre pensato: meglio un lavoro in meno, che una sposa con un album che non la soddisfa pienamente. Il nostro è un lavoro delicato, capace di attraversare le generazioni, e finire nelle mani dei nostri figli, che un giorno ci guarderanno da quelle fotografie. Ogni volta che qualcuno pensa di farsi fotografare da me, mi sento onorato e cerco di essere il più profondo e spontaneo possibile, in modo da trasmettere nel futuro esattamente ciò che ora siamo, raccogliendo la nostra parte migliore, senza mai fingere, cercando di rimanere noi stessi, senza mai mentirci o tradirci.


Nonna Lena è andata prima che io potessi conservare dei veri ricordi di lei. L’unico che ho sono le sue scarpe di canestrino blu, su un pavimento di basalto. Secondo la ricostruzione, fatta con l’aiuto di mia madre che ricorda quel giorno, avevo 2 anni e la nonna mi porto a fare una passeggiata al porto, al grantello, poi di lei non ho più nulla. L’ho conosciuta attraverso le fotografie. Alcune di queste sono così antiche da ritrarre solo una bambina; in altre la incontro nel fiore della gioventù, appena sposata, o in viaggio con il nonno; in altre ancora, la vedo segnata dalla malattia. Ho conosciuto la mia nonna così, su frammenti sparsi, nei quali non sorride mai, è sempre seria. E’ tutto quello che ho della mia nonna, ma se non ci fosse stata la scatola delle fotografie, di lei non avrei quasi nulla. Grazie a nonno Gennaro, a mamma e a papà che hanno saputo dare valore a questa memoria.

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L’ho scattata  ventidue anni fa, credo di ricordare esattamente quando. Ero un ragazzo, facevo le mie prime esperienze con la fotografia, al tempo usavo  la trix kodak che sviluppavo e stampavo.

Quella porta mi è sempre piaciuta, e sopratutto mi piaceva chi la occupava: Cacafuoco, lo ricordo piccolo e nerissimo.

Un abito nero, un berretto nero in testa, e i baffetti anch’essi  neri, in mezzo a questi un mozzicone di sigaretta che non so come facesse a fumare fino  a quel punto.

Ho cercato  quel negativo per Giorgio, che quando mi ha visto dopo molti anni mi ha  detto di quella fotografia, che l’ha conservata nella memoria. Poi qualche sera fa ci sono passato davanti, mi sono fermato  per guardarla, ma quella porta non la vedo più, ma non c’è più lui, Cacafuoco, quello che quando ci passavo, venivo rapito dai suo baffi, da quel  nero che inghiottiva la luce come un buco nero. Non ė più quel luogo, dove lui si sedeva a succhiare un millimetro di tabacco stretto tra quei baffuti.

Non ho trovato il negativo, ma intanto ho raccolto questa, passandoci davanti. Quel luogo si è eclissato ai miei occhi, alle mie attenzioni, fino a quando Giorgio non lo ha richiamato esso era scomparso, semplicemente non non esiste più

Eppure ci passo davanti quotidianamente…


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A bassa voce, parla piano si combatte. Domenico è un uomo mite, si muove lentamente, come tutti coloro che hanno una profonda conoscenza del proprio corpo. Quando l’ho visto la prima volta è stato sul ring durante un combattimento con Italia Thunder Dolce e Gabbana era veloce, preciso e spietato. Mi ero fatto un’idea di come ritrarlo, leggendo e guardando cose che lo riguardavano, come la sua carriera, la storia degli inizi, qualche sua intervista, racconti di chi lo conosceva, quel genere di contributi con i quali un fotografo si alimenta per farsi un’idea del lavoro da fare. Dopo un po’ che parlavamo la mia idea era cambiata, si era riempita di lui e si era svuotata di ciò che io pensavo di  Domenico. Tutto diventava sempre più autentico, più statico, più sospeso. Come sempre nei miei ritratti, gli sguardi,  cerco la disponibilità ad un racconto. Mi piace mettermi in ascolto. Mi piace sorprendermi di ciò che sento.2013_italia_tunder_I-518_m

Ho imparato che un pugile, quando sale sul ring non sale mai da solo, sale insieme al suo maestro. Entrambi dialogano continuamente, guardandosi, sentendosi. Così per me è nata l’esigenza di conoscerlo, di provare a raccontare quest’altra parte che mi sembrava così importante.

Quando ho conosciuto il Maestro Munno ho capito da dove proveniva la calma di Domenico. Si trattava di un elemento distintivo del Maestro. Così ho scattato quest’altra immagine, che mi sembra riassuma il denso rapporto.

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